Molto spesso, nell’immaginario comune, la sessualità e l’aggressività trovano uno spazio condiviso di rappresentazione. Il legame esistente tra questi due costrutti è stato ben rappresentato nell’arte e molto studiato in psicologia.
Nel campo della psicologia, la sessualità e l’aggressività si propongono come argomenti molto ricorrenti sin dagli albori. Gli studi di Freud riguardo Eros e Thanatos, secondo i quali pulsioni sessuali e aggressive rispondevano entrambe al principio del piacere, rappresentano ormai un sapere comune!
L’aggressività sessuale viene oggi considerata come quell’esperienza in cui sessualità e aggressività convivono. Secondo la psicologia della Gestalt, coesistono in un rapporto figura/sfondo, cioè l’una può passare in primo piano solo nel momento in cui l’altra fa da sfondo.
Recentemente, numerose ricerche hanno indagato le più comuni fantasie sessuali, sia negli uomini che nelle donne. In generale, le fantasie sessuali tendono a restare sul piano immaginativo, svolgendo la sola funzione di accendere o rafforzare l’eccitamento. Altre volte, invece, indirizzano il comportamento e diventano parte del rapporto sessuale.
Tra le fantasie più diffuse rientrano proprio quelle che esprimono aggressività, cioè fantasie di potenza sessuale, dominio o sottomissione! Queste possono, però, sfociare sul piano patologico, come nel caso nel masochismo e del sadismo, come riportato nel Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali. In questi casi l’aggressività può eccedere ed esprimersi attraverso comportamenti distruttivi, verso se stessi o verso gli altri!
Nel campo dell’arte, le rappresentazioni della sessualità e dell’amore legate all’aggressività sono molteplici e si esprimono in modi diversi.
Considerando la pittura del ‘900, ad esempio, le troviamo in Klimt, nella sua opera “Giuditta” (1901), in Schiele, nell’autoritratto “Nudo virile” (1910), ma anche in De Kooning, nel dipinto “Donna I” (1950-1952).
In “Giuditta” Gustav Klimt ritrae una femme fatale, eroina biblica che, secondo la storia, ha prima sedotto e poi ucciso il condottiero dell’esercito assiro Oloferne, liberando così il suo popolo.
Klimt sceglie di rappresentare la fatale seduzione di questa donna, una presenza erotica e un’espressione provocatoria.
Il viso contratto in un’espressione di piacere e di violenza, gli occhi socchiusi, le labbra semi aperte che lasciano intravedere i denti, il corpo leggermente coperto da una veste quasi trasparente.
Lo sguardo dell’osservatore vaga dal godimento sul suo viso alla morte, rappresentata dalla testa della sua preda, ancora tra le mani.
“Nudo virile” di Egon Schiele, rappresenta invece una sessualità maschile.
Il soggetto ritratto è lo stesso Schiele, nudo, in una posa innaturale, con un corpo scheletrico, spigoloso e nodoso.
I tratti decisi del pennello di Schiele, i colori, le linee del corpo e l’espressività del viso, suggeriscono sofferenza e aggressività.
Come in “Giuditta”, il soggetto mostra i denti.
Schiele ha spesso ritratto se stesso durante l’atto della masturbazione.
Anche in questo dipinto sembra postumo all’esperienza sessuale ma, sul suo viso, appare un’espressione di angoscia.
In riferimento all’arte astratta, osservando il dipinto di Willem De Kooning, “Donna I” (1950-1952) possiamo notare come l’artista abbia racchiuso nella raffigurazione di questa donna numerosi elementi in contrasto tra loro.
La donna appare femminile per le sue forme, un richiamo alla maternità e alla prosperità che ricorda le sculture di donna primitive. I seni prosperosi comunicano allo spettatore la sua potenza sessuale. Allo stesso tempo sembra, però, anche selvaggia, aggressiva, inquietante. Infine, punto comune delle tre opere qui riportate, la donna mostra i denti.
Sorride, ma il sorriso si trasforma in una smorfia.
Dal punto di vista biologico, i neuroscienziati hanno recentemente individuato la natura del legame esistente tra sessualità e aggressività. La spiegazione sembra risiedere nel nostro cervello!
Più nello specifico, è stato scoperto che i gruppi di neuroni che regolano uno la sessualità e l’altro l’aggressività, sono localizzati in prossimità l’uno dell’altro, nella piccola regione dell’ipotalamo. Tale vicinanza comporta la presenza di un piccolissimo sottogruppo di neuroni “misti” che si attivano sia durante l’accoppiamento che durante un’aggressione.
Ciò che fa la differenza, quindi, sembra essere l’intensità dello stimolo percepito!
Ad oggi, la ricerca è stata condotta sui topi ma, essendo l’ipotalamo una struttura universale, si ipotizza che tali collegamenti siano identici nell’uomo.
Lo studio qui citato risale al 2011 ed è stato condotto da Lin, Boyle, Anderson e altri colleghi del California Institute of Technology di Pasadena.
Per ulteriori approfondimenti, l’articolo “Functional identification of an aggression locus in the mouse hypothalamus” è stato pubblicato su Nature ed è consultabile online!
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