Bulimia, anoressia, binge eating, obesità...
Sono questi i più comuni e conosciuti disturbi alimentari, considerati spesso, erroneamente, “malattie dell’era moderna”.
Alla modernità sembra anche appartenere un nuovo ideale estetico di bellezza al quale aspirare e per via del quale l’accettazione e la stima di sé e del proprio corpo possono diventare davvero difficili da raggiungere.
In realtà, i disturbi alimentari non sono figli della modernità.
Sicuramente l’esposizione ad un numero elevato di modelli di “perfezione” può influire nella diffusione e nell’insorgenza dei disturbi dell’immagine corporea (spesso associati ai disturbi alimentari), così come l’autostima e altri fattori che possiamo definire tutti come “sociali”, ma che non sono gli unici.
Ciò che è sicuramente vero, è che nell’era moderna i disturbi alimentari sono stati riconosciuti e studiati. L’attenzione verso la tematica è sempre più alta, le azioni di sensibilizzazione e prevenzione frequenti, con particolare attenzione ai giovani e ad anoressia e bulimia nervosa.
In questo quadro, anche l’arte può giocare un ruolo importante nell’abbattimento dei tabù, attraverso una sensibilizzazione creativa che avviene grazie ad un racconto per immagini o, come nel caso dell’artista contemporanea Vanessa Beecroft, per performance artistiche.
Artista italiana classe ‘69, Vanessa Beecroft esprime la sua arte attraverso la creazione di “quadri viventi”.
Mette in scena coreografie di corpi femminili nudi o seminudi, esprimendo la sua passione per la moda, i suoi desideri e le sue debolezze, il suo rapporto con il cibo e la bulimia, di cui ha sofferto tra gli anni ‘80 e gli anni ‘90.
“Il Libro del Cibo” rappresenta la prima messa in scena del suo rapporto problematico con il cibo. Mostrato al pubblico nel 1994, si tratta del suo diario personale, in cui, durante gli anni della malattia, aveva annotato tutto il cibo ingerito, specificandone determinate caratteristiche come, ad esempio, il colore. Successivamente ha scelto di rappresentare il diario tramite alcune ragazze che, sgraziate e scomposte, simboleggiavano il suo alter ego e il suo caos interiore.
Il conflitto con il proprio corpo è stato rappresentato anche attraverso una performance che consisteva nell’esposizione di corpi di ragazze in cui si rispecchiava, le quali indossavano gli indumenti intimi dell’artista. Quest’ultima performance si è tenuta all’Accademia di Brera, a Milano.
Infine, una performance molto rappresentativa, forse la più eloquente, risale al 2003 ed è VB52. La performance consiste in un banchetto, consumato da 32 commensali, cioè modelle, alcune seminude, altre sempre più vestite man mano che ci si sposta verso l'estremità del tavolo.
La nudità a tavola, più o meno nelle diverse donne presenti, simboleggia la sensazione di imbarazzo e disagio, il sentirsi esposti.
Tra i commensali compaiono anche la madre e la sorella dell’artista, forse a simboleggiare quanto i disturbi alimentari, spesso, coinvolgano l’intero nucleo familiare della persona che ne soffre.
Anche in VB52 emerge l’importanza dei colori, caratteristica già fortemente presente ne “Il Libro del Cibo”: il tavolo è trasparente, i commensali siedono seguendo un ordine cromatico, le portate vengono servite anch’esse seguendo un ordine cromatico.
I colori predominano la performance, più dell’atto del mangiare che, nonostante si assista ad un banchetto, passa in secondo piano.
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