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Dalla pittura alla grafica pop: Enrica Zaggia

Appassionata d’arte orientale giapponese ma dall’anima pop occidentale, pittrice ma anche illustratrice digitale... Si tratta di Enrica Zaggia, la nostra nuova ospite per la rubrica PsyCall to Artist.

La storia d’amore tra l’arte ed Enrica ha radici molto profonde: “Disegno da quando ho memoria, uno dei miei ricordi d’infanzia sono le sigle dei cartoni animati che non ho mai visto perché disegnavo davanti alla tv ma non la guardavo e spesso lo faccio ancora.”


Ma, come tutte le storie intense e di lunga durata, ha anche vissuto alti e bassi e momenti di crisi…

“Ho provato a smettere di disegnare: impossibile perché per me era ed è un'urgenza farlo. Una necessità. Se non disegno non sono felice ma l’ho capito tardi rispetto ad una carriera ordinaria. Quindi mentre studiavo e lavoravo ho preso la licenza per tatuare e l’ho fatto per qualche anno. In quel periodo dipingevo parecchio, tele soprattutto. Ho fatto qualche mostra nella città dove vivevo, Padova. In estate facevo la cuoca a domicilio a Venezia e mi riusciva bene, mi pagavo l’affitto più che con i quadri quindi ho proseguito quella carriera.”

Dopo un periodo a Barcellona, in cui cerca di coniugare il lavoro al ristorante con la sua grande passione per l’arte, Enrica torna in Italia e lavora come chef in un piccolo ristorante di Venezia, proprio nel momento in cui la città viene travolta dall’acqua alta che ha messo in ginocchio molti veneziani. Non c’è più il tempo per dipingere.”

Le cose però cambiano improvvisamente, il ristorante chiude le porte definitivamente e l’avvento della pandemia rappresenta un punto di svolta per lei.

“Il lockdown è stato un momento catartico quando mi sono resa conto che cucinando a casa non avevo più passione, mi sono a lungo chiesta se il problema fosse la cucina in sé o gli ambienti iperstressanti che avevo vissuto. Ho ricominciato a cucinare con gusto e per passione ma la storia con la ristorazione è finita.

Nonostante tutto, a me il lockdown ha fatto bene, mi sono dovuta confrontare con questo spirito guida che a volte è il mio demone. Ognuno nella vita ha un compito e il mio è di disegnare.

È inutile che cerchi di scappare o di provare a fare altro perché niente mi da più soddisfazione di questo.”


Questo il percorso di Enrica, alla scoperta di quello che è e di quello che la rende felice. Le abbiamo fatto qualche altra domanda sul suo lavoro e sulle sue prospettive future.


Rispetto al processo creativo, ci hai detto che quando disegni ti piace avere un sottofondo, ad esempio la tv, ma sottolinei “niente che mi renda emotiva quindi niente musica, mi distrae”. Un’affermazione insolita, dato che anche l’arte, tramite il disegno o la pittura, esprime e suscita emozioni…

“Fatico ad ascoltare musica e preferisco sottofondi neutri o parlati. Dipingendo o disegnando al pad ascolto musica ambient, chill out o album jazz che conosco molto bene, tipo Philip Glass music for airport o John Coltrane, podcast di storia o la tv di sottofondo.

Esistono più fasi nel creare un quadro, se disegno scelgo qualcosa che mi fa concentrare profondamente e che non fa venire voglia di leggere il testo per cantarlo a memoria, o un nuovo album che non conosco e che magari merita un tempo dedicato per ascoltarlo. Proprio perché la musica suscita emozioni spesso è successo che la canzone mi ispirasse un disegno o un'idea, ed è un “problema” se ho già scelto quello che sto per fare. Mi dovrei fermare, buttare giù la nuova idea finché non è esaurita e poi riprendere quello che stavo facendo.

Spiegandovi tutto questo mi è venuto in mente che di molti quadri ho scritto che cosa

ascoltavo mentre lo facevo o la canzone da cui ho preso ispirazione.

“La ragazza con le pesche” ha le cuffie perché ascoltavo Bandiera Bianca di Battiato che fa

“com’è difficile restare calmi e indifferenti mentre tutti intorno fanno rumore” ad esempio.

Vorrei spiegarvi com’è per me fare un quadro così forse è più chiara anche la questione del sottofondo.

In un momento qualunque della vita, in treno, in cucina o ascoltando una bella canzone o in

dormiveglia o al bar.. a me succede di vedere immagini molto vaghe a volte belle, a volte solo concettualmente interessanti. A quel punto queste immagini o le lascio andare o decido di segnarle con appunti scritti e disegnati. Se le lascio andare spesso la perdo, se le segno cerco di esaurire l’idea, cioè vado avanti ad appuntare finché non ho più niente da scrivere. Raramente l’idea avviene in momenti “comodi”. In un secondo momento più dedicato riprendo in mano l’appunto e lo sviluppo o ne creo una serie.

Per via dei pittori e disegnatori giapponesi penso spesso in serie, non disegno un paesaggio invernale pensò quasi sempre ad una serie di paesaggi invernali. Questo spesso rende tutto irrealizzabile, una volta ho previsto di riuscire a fare una serie di cento dipinti come le cento vedute del monte Fuji di Hokusai. Ne feci 20 poi mancarono tempo e fondi. Per me nessun quadro è fatto di punto in bianco mettendomi davanti alla tela. Poi c’è una fase di ricerca immagini di riferimento, le così dette reference, successivamente si fa un bozzetto definitivo in carta e lo si riporta sulla tela. A quel punto si segue con impostazione immagine, colore e via via entrando nel dettaglio. In questa ultima fase preferisco ascoltare musica “senza emozioni” o la tv di sottofondo, perché sono concentrata e non voglio nuove ispirazioni anche se a volte capita di modificare il dipinto anche in questa fase.

La sensazione che si ha quando si finisce un quadro è bellissima, di fine, di completamento, di livello raggiunto, di soddisfazione. Di ben fatto detto a te stessa. E dura pochissimo ovviamente, dopo qualche ora o giorno già non ti va più bene o è passato.”


Noi ti abbiamo conosciuta come “artista digitale” ma questa è una declinazione più recente del tuo modo di esprimere l’arte.. Vorremmo quindi parlare un po’ anche della pittura, ci racconti qualcosa in più sulle tue tele? Quali temi affrontavi, quali soggetti prediligevi?

“Nelle tele che ho fatto, che io per comodità suddivido in periodi ho avuto una prima fase in cui ho preparato una mostra con quasi solo collage, molto arrabbiata con il patriarcato e con il cattolicesimo opprimente. Ne sono risultati dei pezzi interessanti, un po’ blasfemi, un po’ pop che non rifarei mai ora. Poi in un periodo denso di cambiamenti da giovane 23/4enne, ho dipinto una serie di quadri dai contenuti tetri. Sono quadri a cui ho dedicato molto tempo in un periodo di indagine emotiva direi. Non ricordo quel periodo come felice appunto ma sicuramente erano momenti in cui ero in contatto con parti profonde della mia testa. Quei quadri li ho esposti ed ora non lo rifarei. Come soggetti ho sempre elaborato figure umane, spesso donne. I paesaggi sempre come sfondi.”


Ci hai detto, invece, che in questo momento ti concentri su “grafiche divertenti, semplici e pop”. Hai quindi cambiato gli strumenti, lo stile e i soggetti rappresentati... pensi che la pittura non si adattasse più ai tuoi scopi?

“Si, ho scelto cose più leggere perché non le avevo mai fatte. Non è più facile creare una stampa, direi che è meno emotivo e di conseguenza rischio meno di bloccarmi. E poi sotto sotto ogni artista vuole essere visto e apprezzato, vuole comunicare con un linguaggio che non è parola scritta o detta, io non sono da meno. L’arte è fatta per avere un pubblico. Col digitale ho più pubblico che con la pittura, ora la sfida sarà riuscire a dipingere cose che le persone vorrebbero vedere ed anche cose personali. Il tutto guardato da lontano, è un viaggio ed imparare a fare cose nuove, essere curiosi è il sale della vita. Riuscire a comunicarlo è parte del viaggio.”

Sembra che questo cambiamento nell’espressione artistica sia coinciso con un cambiamento importante nella tua vita, con una sorta di “presa di coscienza”. Credi che sia cambiato il tuo rapporto con l’arte? Pensi che la nuova “leggerezza” dello stile pop sia un riflesso di questioni personali?

“La reale presa di coscienza è che ho perso tempo in questi ultimi anni, cercando di fare altro, letteralmente un pesce che si arrampica su un albero. Sicuramente le mille esperienze mi hanno resa chi sono oggi ma se mi fossi impegnata di più senza perdere d’occhio cosa volevo realmente fare o senza ascoltare le voci che mi dicevano chi o cosa sarei dovuta essere ora sarei più avanti nel mio percorso. Si il mio rapporto con l’arte è cambiato sicuramente. Non mi sono alleggerita ma ho capito che posso essere anche leggera. Non mi sono dimenticata di come si dipinge ma in extremis mi sono concentrata su un nuovo mezzo. Se è bene o male non lo so ancora.”

Confrontando la pittura con l’illustrazione digitale, quale delle due ti soddisfa di più? Quali sono le differenze principali, a livello emotivo e di processo creativo? Ti manca dipingere?


“Si mi manca da morire dipingere e soprattutto dipingere quadri grandi. Per farlo, come diceva Virginia Woolf serve tempo, una rendita e una stanza tutta per sè. Aggiungerei un po' di solitudine. In quest’ultimo periodo per un motivo o per l’altro mi mancano il tempo, lo spazio o la solitudine. Questo recente sviluppo digitale è stato più che positivo, anche se autoimposto. Sicuramente se non si sa disegnare su carta è difficile farlo bene al tablet. Le differenze sono molte, in primis la correzione degli errori è velocissima ed automatica al pad mentre su carta, con acquerello o acrilici ogni errore “costa caro” ed a volte ci si ritrova a trovare soluzioni originali e impreviste per correggere.

Inoltre, non navigo nell’oro e detesto sprecare fogli e materiali che a volte sono unici o costosi quindi ci penso bene prima di cestinare qualcosa. Il processo creativo è lo stesso che in breve vi ho spiegato sopra solo che al pad si perde tutta la parte di impostazione, scrittura idee semplicemente perché si continua a lavorare sullo stesso “foglio” su livelli che sono visibili o invisibili con un clic. Se raccogliessi il materiale che uso per fare un solo quadro sarebbero pagine di agenda scritte, disegni su fogli volanti, stampate di reference, bozzetti brutti e belli. Decine di pagine per ogni quadro. Di molti ho tenuto tutti gli incartamenti per farmi una gran risata da anziana.”


Prima di salutarci, a cosa ti stai dedicando oggi? Quali sono i tuoi sogni e progetti futuri?

“Il mio obiettivo ora è dedicarmi alle illustrazioni.

Dal lockdown mio fratello Edoardo Zaggia ha dato vita ad una serie Instagram che si chiama “Rubrichette” ed io gli preparo i quadri che appaiono sullo sfondo.

Vorrei illustrare un libro per bambini, fare murales decorativi nei locali, ricominciare a tatuare e studiare design e grafica. A breve aprirò uno shop per vendere le illustrazioni e le commissioni. Mi piace lavorare in commissione perché ti permette di tradurre graficamente un’idea di qualcun altro, è un opera d’arte a due mani.”


Intervistare Enrica è stato molto divertente e interessante. La sua storia racconta la sua ricerca dell’autenticità e di ciò che la rappresenta davvero, di ciò che la rende felice.

Siamo sicure che potrà essere di ispirazione per molte persone, per noi lo è stato!



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