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Un viaggio nel sociale, attraverso lo sguardo di Michele Cirillo

Abbiamo il piacere di ospitare, per la nostra rubrica PsyCall To Artist, Michele Cirillo, fotografo, videomaker e docente di comunicazione visiva.


Michele si definisce un “fotografo eclettico”. La sua passione per l'immagine nasce dall’attività di fotoreporter, che lo ha portato in viaggio per il mondo, con l’obiettivo di documentare e raccontare storie complesse che parlano di persone e luoghi vicini e lontani.

Con il tempo, ci racconta, ha sentito l'esigenza di trovare nuove "strade visive", esplorando così il mondo del video e della comunicazione visuale a 360°, con un approccio prevalentemente mixed media.


Abbiamo avuto modo di conoscere Michele e di potergli fare qualche domanda sui suoi lavori, progetti di grande valore non solo artistico ma anche sociale.

Sbirciando tra i suoi progetti e reportage, infatti, emerge in modo molto chiaro la sensibilità rispetto a determinate tematiche sociali. Tra le righe dei suoi scatti è possibile leggere idee e valori personali.


Come nascono i tuoi progetti, quali sono, tra quelle affrontate, le tematiche che più ti interessano e come, poi, queste prendono vita?

La maggior parte della mia produzione reportagistica è legata ai temi delle migrazioni, delle minoranze etniche e delle zone di crisi. Ho sempre amato viaggiare e con il tempo ho capito che il mio sguardo aveva una predilezione nella scoperta delle disuguaglianze e nella conseguente voglia di giustizia e di informazione.

Dal progetto "The Phantom route"

Grazie agli studi in Geopolitica cerco sempre di “anticipare le notizie”, di capire chi sono i veri protagonisti degli accadimenti che sconvolgono alcune parti del mondo e che non possiamo assolutamente pensare come totalmente isolati e distanti da noi. Dopo una fase iniziale di studi, raccolta di informazioni, contatti e dati cerco di definire una struttura visiva e progettuale che possa abbracciare il progetto a 360°. Una volta sul campo bisogna essere sempre pronti a ricredersi, a cambiare strada se necessario, capendo che la ricerca di quello che potremmo chiamare verità è un argomento talmente complesso che può diventare difficile da raggiungere e comunicare senza gli strumenti giusti. Non esiste quasi mai un bianco o nero, ma solo infinite sfumature di grigio.


In che modo credi che l’arte possa essere uno strumento di sensibilizzazione, informazione e cambiamento sociale?

Credo fermamente che l’arte possa essere un protagonista privilegiato del cambiamento sociale solo se unita alla ricerca di senso e direzione.

Troppe volte (ahimè) vedo l’arte delegare alle nuove tecnologie il compito di stupire, di alzare l’attenzione ritrovandoci a guardare un complesso esercizio di intrattenimento estetico svuotato di qualsiasi significato riconoscibile.

Dal progetto "Khabarovsk: the Far East of Russia"

Come scegli i soggetti da fotografare? Quali aspetti o quali dettagli catturano la tua attenzione? Cosa ti affascina dell’altro?

Tutti i miei lavori sono nati da esigenze personali, per quanto poi nella realizzazione abbia ricercato valori universali da condividere. La curiosità mi ha portato ad appassionarmi a numerosi progetti, che sebbene non fossero su commissione all’inizio, sono stati poi pubblicati ed esposti in diverse mostre.

Dal progetto "Sunday Dream"

Con la maturità degli ultimi anni inizio a pensare che i soggetti dei miei progetti parlino molto anche di me, della mia idea di mondo e di una visione estetica che diventa politica anche senza volerlo.

Provo un enorme rispetto per le soluzioni adottate da chi vive una vita difficile e ingiusta, per la “resistenza” (che preferisco a resilienza in questo caso) di persone e di vite che fanno di tutto per esistere. Nell’altro vedo il forte contrasto di un’umanità capace di distruggersi così come di unirsi e supportarsi in qualsiasi situazione.


In quanto psicologhe specializzate in marginalità sociale ed abitativa, tra i tuoi lavori, come puoi immaginare, ci colpisce molto il progetto “Insulae”. Puoi raccontarci qualcosa in più a riguardo?

Insulae è un progetto fotografico dedicato all’emergenza abitativa romana, un vero e proprio diario visivo durato 5 anni su questa problematica che coinvolge circa 70.000 persone solo nella capitale.

Nato e cresciuto in una casa popolare in provincia di Roma con Insulae la ricerca del senso è diventata quasi un’ossessione. Volevo capire profondamente l’origine del problema. Ho provato ad andare a ritroso nelle legislature comunali, ma non era sufficiente per me, perché non potevo attribuire la colpa di un fenomeno più complesso a una singola personalità. C’era qualcosa di più profondo, di più grande e condiviso. Mi sono incuriosito, ho iniziato a documentarmi, confrontandomi con studiosi, politici, ricercatori e mi sono reso conto che la situazione emergenziale era analoga a quella che si viveva nelle insulae romane. L’origine del problema era, quindi, lontano nella storia ed era intrinseco nella nostra città.

Dal progetto "Insulae"

Qualche dettaglio e curiosità sul progetto…

È stato importante per me dare forma fisica alle ricerche, curando nel dettaglio ogni aspetto della pubblicazione, a partire dalla scelta dei materiali. Tutto il progetto doveva essere coerente. Ho fatto creare una carta simile all’intonaco del muro per chiudere il cofanetto della pubblicazione e ho scelto di foderare il glossario dell’emergenza abitativa con la stessa carta Pagani utilizzata storicamente per i registri. Il lavoro di documentazione è stato tradotto graficamente su una mappa della città di Roma, dove sono stati identificati con un codice tutti i siti dei miei sopralluoghi. Gli scatti corrispondenti sono stati, invece, stampati sul retro di un leporello di 16,5 m che, riproponendo in lunghezza l’altezza di un’insula romana, riportava sul verso tutti i decreti sull’emergenza abitativa emanati dall’amministrazione comunale romana dal 1991 al 2017. Si può, così, leggere da un lato tutto quello che era stato fatto burocraticamente e constatare dall’altro i risultati raggiunti.


“Non è stato necessario “alzare la voce” o puntare il dito verso qualcuno” conclude Michele. Quell’oggetto artistico e politico parla da solo: “i quasi 17 metri di libro sono la prova più chiara di una dimensione trascurata e mal gestita.”.


Ci colpisce molto questa rivoluzione in qualche modo “silenziosa”.

Ci hai raccontato che spesso hai avuto modo di collaborare con psicologi, puoi dirci qualcosa in più sulla tua esperienza?

Sono sempre stato convinto della capacità terapeutica della fotografia: scegliere cosa inserire nell’inquadratura e cosa lasciare fuori è un esercizio che parla di noi in ogni scatto. Qualche anno fa ho tenuto un laboratorio di fototerapia con la dott.ssa Morrone ed è stata un’esperienza piena e meravigliosa. Abbiamo lavorato con i partecipanti nella creazione di una serie di immagini rispetto a un determinato tema scelto. Io ho aiutato i partecipanti nella gestione dello strumento e del suo linguaggio, mentre la terapeuta aiutava a fare luce sui significati e sulle rappresentazioni più profonde dell’immagine scattata.


Quale tra i tuoi lavori è quello che credi ti abbia cambiato di più sul piano personale?

Su un livello di capacità progettuale sicuramente Insulae, se parliamo invece di esperienza umana non potrò mai dimenticare il viaggio in Kurdistan, in Palestina, come quello in Ucraina nelle zone di guerra a “bassa intensità” del Donbass.

Dai progetti "Forgotten War" e "The Kurdish Bride"


Prima di salutarci, siamo curiose di sapere quali sono i consigli che dai ai tuoi studenti che vogliono intraprendere una carriera artistica…

Come docente universitario cerco di far capire ai miei studenti l’importanza di coltivare uno sguardo autoriale a prescindere dal progetto che si vuole portare avanti. Suggerisco sempre di non essere schiavi dell’estetica e delle sue lusinghe, prego di stampare le foto, di tenerle in mano come ricordi che hanno una forma e un peso, di non pensare all’arte come ad un lavoro ma come una necessità d’espressione.


Le parole di Michele sono state per noi fonte di ispirazione. In alcuni casi, ci siamo ritrovate nelle sue opinioni, in altri casi siamo state colpite dal suo racconto e le sue idee, sia da un punto di vista umano che creativo e artistico.

Abbiamo percepito il forte pensiero che muove il suo lavoro - dove nulla è lasciato al caso - ma ogni cosa deriva da passione, curiosità, studio e fuoco che esplode.

Non possiamo che dirgli GRAZIE!

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