Quali sono i limiti del comportamento umano quando si è in una posizione di potere?
Fino a dove possiamo spingerci?
Domande che hanno ispirato, negli anni ‘70, due tra i più grandi e disturbanti esperimenti della storia: uno avvenuto nel campo della psicologia, l’altro nel campo dell’arte.
Da una parte l’esperimento sociale della “Stanford Prison” di Zimbardo, nel 1971, dall’altra la performance artistica “Rhythm 0” di Marina Abramović, nel 1974.
La “Stanford Prison”: Nel 1971, il professore Philip G. Zimbardo, insieme ad altri colleghi, riorganizzò il seminterrato dell’Università di Stanford, allestendo una prigione simulata! Vennero selezionati 24 soggetti di sesso maschile, i più equilibrati e meno attratti da comportamenti violenti e devianti, tra tutti coloro che avevano dato disponibilità. A questi venne attribuito casualmente il ruolo di guardia o di detenuto.
Inaspettatamente, l’atmosfera della finta prigione cominciò presto a complicarsi… le cose precipitano velocemente quando le guardie cominciarono ad imporre regole sempre più restrittive e spietate, perpetrando comportamenti sadici e inumani. Costringevano, ad esempio, i detenuti a defecare e urinare in un secchio, gli impedivano di mangiare e dormire, li incatenavano e incappucciavano o li costringevano a svolgere azioni umilianti.
A sole 36 ore dall’inizio dell’esperimento, uno dei detenuti venne liberato poiché manifestava acuti squilibri emotivi, eccessi d’ira e pianto incontrollato, pensiero disorganizzato.
Identificandosi eccessivamente con il ruolo ricoperto, i partecipanti avevano perso il contatto con la realtà, subendo un processo di deindividualizzazione dovuta alla deprivazione delle loro caratteristiche individuali. Sentivano così ridotto il senso di responsabilità personale per le azioni compiute.
Zimbardo stesso era ormai entrato nel ruolo del responsabile di prigione.
“La nostra indagine di due settimane programmata sulla psicologia della vita in prigione, è dovuta terminare dopo solo sei giorni, a causa di ciò che la situazione stava facendo agli studenti universitari che hanno partecipato. In pochi giorni, le nostre guardie sono diventate sadiche e i nostri prigionieri sono diventati depressi e hanno mostrato segni di stress estremo” (Philip G. Zimbardo).
“Rhythm 0”: La performance artistica “Rhythm 0” è l’ultima di una serie di performance messe in scena da Marina Abramović negli anni ‘70.
L’artista serba è molto conosciuta per il suo modo controverso di intendere l’arte e per le sue performance che la spingono spesso oltre i limiti fisici e mentali.
La performance si tenne allo Studio Morra di Napoli nel 1974.
La durata prevista era di 6 ore, Marina Abramović si alzò in piedi e si mise al centro della stanza, nella quale era presente anche un tavolo con una serie di oggetti, di piacere o di dolore, 72 in totale (tra questi un cucchiaio, una pistola, delle forbici, corde, fiori, un pettine, della vernice, un rossetto, un coltello, del profumo etc.).
Le regole erano semplici: “Io sono l’oggetto. Potete fare di me ciò che volete. Mi assumo la piena responsabilità”.
Inizialmente le reazioni degli spettatori furono molto pacate e amichevoli, addirittura affettuose. Dopo qualche ora, però, la situazione degenerò e gli spettatori si fecero sempre più aggressivi e violenti.
Le tagliarono i vestiti, la ferirono, le infilzarono lo stomaco con le spine di una rosa, le tagliarono la carne con la lametta, le puntarono contro la pistola carica...
Alla fine della performance, quando l’artista cominciò a camminare tra i presenti, questi si dileguarono in fretta, non potendo reggere il confronto nel momento in cui, da oggetto passivo, Marina era tornata ad essere una persona come loro.
“Se lasci le decisioni al pubblico, puoi essere ucciso" (Marina Abramović).
Marina Abramović ha messo il suo corpo a disposizione, offrendo l’opportunità per far emergere quei tratti profondi e sadici, nascosti nell’uomo comune e mostrando, così come l’esperimento di Zimbardo, fino a dove può spingersi l’essere umano, in determinate circostanze.
Un fattore comune alle due diverse esperienze riguarda la mancanza di responsabilità percepita dai soggetti. Nel caso di “Rhythm 0”, l’artista si era espressamente assunta la totale responsabilità di ciò che sarebbe accaduto. Nel caso dell’esperimento di Stanford, invece, i partecipanti si sentivano autorizzati e meno responsabili individualmente, poichè l’azione era effettuata dal gruppo. Tale fenomeno è conosciuto come diffusione della responsabilità.
I partecipanti allo studio di Zimbardo erano stati scelti in quanto persone restie all’utilizzo della violenza, persone quiete dalle quali non ci si sarebbe mai aspettato un comportamento simile. Eppure, il contesto sperimentale nel quale sono stati inseriti, le dinamiche di potere di cui sono stati investiti e gli effetti del gruppo, hanno avuto la meglio sui tratti di personalità.
Cosa ci dice della natura umana?
Zimbardo formulò quello che oggi è conosciuto come “Effetto Lucifero” (2007), sottolineando la forza delle situazioni nel determinare le reazioni aggressive.
La posizione di potere, le situazioni e i contesti sembrano essere più forti dell’inclinazione dei singoli individui, nel determinarne il comportamento, rendendo possibili azioni crudeli anche per soggetti non inclini.
Ne deriva una riflessione sul peso dei ruoli sociali e su come questi determinano i comportamenti, generando quelli che vengono definiti abusi di potere.
“Qualsiasi atto che un qualsiasi essere umano abbia compiuto, per quanto orribile, potrebbe compierlo ognuno di noi, se sottoposto alle giuste o sbagliate pressioni situazionali” (Philip G. Zimbardo).
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