Oggi vi presentiamo Sara Celeghin, scultrice, attrice, performer e scenografa. Nuova ospite della rubrica PsyCall to Artist, ci ha raccontato qualcosa di sé e del suo lavoro, in particolare delle sue sculture e di ciò che queste rappresentano.
Sara lavora utilizzando diversi materiali, prediligendo il legno ma anche materiali di scarto, focalizzandosi sulla loro potenzialità di diventare altro, elementi nuovi riletti in chiave artistica.
Si tratta di alberi che andrebbero comunque tagliati, per problemi di stabilità o, ad esempio, di salute della pianta.
In questo progetto, Sara ha potuto esprimere la sua arte. Molte delle sue sculture, ci racconta, parlano del rapporto tra donne e natura, “due protagoniste interconnesse, secondo trame di relazione e metamorfosi”, come le definisce l’artista.
Come mai la figura della donna è il soggetto di molte tue sculture?
Credo che l'arte, anche quando non lo fa in forma esplicita, contenga sempre elementi autobiografici. Si tratta infatti di un modo di filtrare il mondo attraverso il proprio sguardo e tocco molto personali. Penso sia per questo che rappresentare delle donne, sia un modo per raccontare le molte sfaccettature del mio essere donna.
Ci parlavi del rapporto tra donne e natura come un rapporto di connessione e di metamorfosi. Ci spiegheresti meglio cosa intendi?
C'è un legame forte tra la capacità ancestrale della donna di dare alla luce e quella della natura di generare diverse forme animate e inanimate. A partire da questa connessione immagino figure che partono dalla natura e da essa tornano con uno scambio di linee e forme che crea una connessione non solo metaforica, ma molto concreta.
Il concetto di “trasformazione” è molto presente nelle tue opere. Il cambiamento, l’evoluzione, sono temi molto ricorrenti, nel tuo lavoro, così come negli obiettivi del progetto “UrbArt”.
Ci hai parlato di cambiamento e trasformazione… che tipo di cambiamento si può riscontrare negli abitanti del posto da progetti di questo tipo?
Vedere un'artista all'opera, poter dialogare e conoscere a fondo il suo lavoro e la sua poetica e farlo non andando a cercarlo in uno studio, ma in mezzo alla strada, mentre crea un'opera d'arte pubblica, è un'occasione straordinaria per le persone.
Quando conosciamo qualcuno personalmente, passiamo da un piano oggettivo di percezione razionale-mentale ad uno soggettivo-emozionale, si crea un legame profondo di empatia. Improvvisamente una cosa che non ci interessava, inizia invece ad appartenerci perchè la capiamo e la apprezziamo. Si crea un senso di affezione e che rinsalda il senso di com-unità: essere singoli, ma anche fare parte di una collettività.
Inoltre lo stesso processo di upcyicling (ovvero una forma di riciclo creativo che eleva lo stato della materia di scarto) che si fa con i materiali, si può immaginare con le persone: se c'è una possibilità trasformativa per una pianta malata, la cui unica possibilità era quella di essere tagliata a zero e scomparire...c'è una possibilità rigenerativa anche per noi esseri umani, anche quando ci sentiamo afflitti ed esauriti, possiamo trovare risorse ed energie per reinventarci e ripartire, magari cambiati dopo un processo che può essere anche doloroso, un po' come il bruco che diventa farfalla.
-Foto di Paul Crespel-
Cosa ti piace di progetti come questi?
E' un modo interessante per avvicinare le persone comuni al bello e all'arte: non è necessaria una cultura di base, che spinge le persone ad interessarsi all'arte e a frequentare i musei, ma la bellezza è a portata di mano, sotto casa, in un luogo inaspettato, anzi spesso in un non luogo che, grazie alla presenza della nuova scultura diventa invece un punto di riferimento.
Questo tipo di progetto crea senso di appartenenza, e stimola il desiderio di prendersi cura dei posti....è contagioso in senso positivo!
-Foto di Paul Crespel-
Ci sono dei luoghi della città che prediligete per creare le vostre opere d’arte?
In realtà è nato un percorso che unisce tutte le sculture, non per scelta, ma “unendo i puntini” ovvero trovando dei collegamenti pedonali/ciclabili tra le opere nate da una “selezione naturale” poiché non abbiamo scelto noi le piante da scolpire, ma si trattava di quelle che per ragioni tecniche il Settore Verde del Comune doveva abbattere, in luoghi in cui non era possibile sostituirle con altre piante.
Non abbiamo scelto attivamente, ma ci piace molto che il progetto vada a valorizzare le periferie urbane, spesso sentite come luoghi di “serie B” rispetto al centro storico, valorizzando dei non luoghi ed elevandoli a museo a cielo aperto dove l'arte contemporanea può trovare casa e spazio, rigenerando e valorizzando anche un semplice incrocio di strade o un fazzoletto di verde.
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