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Se lasciassi il tuo Paese

Immagine del redattore: PsyCosePsyCose

Aggiornamento: 28 ott 2020

Nell’estate del 2016 il fotografo francese Patrick Willock spedisce una lettera ad ogni abitante di Saint-Martory: i cittadini sono chiamati a interpretare se stessi in quattro fotografie (quattro tableaux vivants) che rappresentavano il faticoso tema della migrazione e dell’accoglienza. 


In quel periodo nel minuscolo villaggio di Saint-Martory arrivano, infatti, 50 richiedenti asilo. L’arrivo di nuovo capitale umano non rende gli abitanti del villaggio particolarmente felici. Anzi, quella che per 900 persone può sembrare un’ondata ha provocato loro molta diffidenza e paura. 


Patrick Willock inizia qui un “ambizioso progetto artistico con un profondo significato politico”, così si legge sul suo sito, dal nome “My Story is a Story of Hope”.


“L’obiettivo del progetto era capire come comunità così diverse possano imparare a vivere insieme. Chi era contro la presenza dei migranti non ha cambiato idea, ma siamo riusciti a superare alcuni stereotipi e a sensibilizzare chi era del tutto indifferente”, ha spiegato Willocq.


Qualche tempo prima, gli abitanti di Saint-Martory avevano assistito alla costruzione di un nuovo centro di accoglienza in città. Questa scelta del Governo è suonata ai cittadini come una forma di imposizione e di inganno, non una scelta condivisa ma subita. Scelte imposte dall’alto creano chiusura, l’apertura al nuovo deriva, invece, dalla collaborazione e dalla conoscenza di quel nuovo. Spesso il dialogo e la collaborazione, nei processi di trasformazione, aiutano e contribuiscono all’accettazione del cambiamento. Come lo stesso Willocq spiega, il suo progetto racconta una storia universale: storie in cui facciamo fatica ad accettare l’altro diverso da noi, prima di tutto perchè non lo conosciamo. 


I soggetti delle foto di Willocq sono stati chiamati a lavorare insieme: ognuno nei panni di se stesso, chi pro e chi contro l’accoglienza. Chi era contrario non ha avuto paura a dirlo, ma con fermezza ha esposto la sua opinione. Delphine, una delle partecipanti, spiega che attraverso questo progetto, lei e i suoi concittadini, hanno potuto rendere conto di una realtà, simboleggiata dall’espressione artistica. I cittadini, protagonisti della vicenda, sono stati portati in scena, chi a favore dell’accoglienza e chi contrario: “chi tende la mano e chi volta le spalle, i discendenti dei migranti spagnoli e i richiedenti asilo, che hanno accettato di rivivere un episodio drammatico della loro vita”. 

Willocq ha parlato delle migrazioni come cicli che si ripetono. È vero. Alcuni abitanti di Saint-Martory oggi sono exspagnoli che alla fine degli anni Trenta sono fuggiti dalla guerra civile e hanno trovato riparo e accoglienza in Francia. La storia si ripete, è un eterno ritorno delle cose. Lì e ovunque.


Viviamo in società che sono dei melting pot, in cui c’è una condivisione identitaria nata da diversità culturali. Fondamentale, nell’accoglienza dell’altro diverso è un semplice processo di conoscenza. Nel periodo di quarantena per il Covid-19, ancora di più, ci siamo sentiti tutti più vicini, tutti accomunati dalla stessa emergenza. Siamo tutti sotto lo stesso cielo, tutti nella stessa barca. In questo periodo abbiamo visto tante bandiere nei balconi sventolate con forza. Mi piace pensare che alla bandiera italiana possa sostituirsi o anche solo affiancarsi un’altra bandiera, che sia un simbolo di condivisione, che possa rappresentare tutti, che indichi pari rispetto dei diritti e sia simbolo di fiera mescolanza. 






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